Pasqua 2020: lettera dal Guatemala

10/04/2020

Amiche ed amici carissimi, chi di noi avrebbe potuto immaginare quando ci siamo incontrati in novembre e dicembre scorsi che, solo dopo 2 mesi circa ci saremmo ritrovati nell’incubo di una guerra batteriologica planetaria, in lotta contro un nemico invisibile, perverso, onnipresente. Un film del terrore.

Centinaia di persone che muoiono ogni giorno, in ospedali stracolmi, senza la presenza di un familiare o di una persona amica a stringere la mano, senza un ultimo addio, senza un ultimo “ti amo”, con personale medico/infermieristico amichevole ma allo stremo delle forze. Nessun rito di addio. Persone che spariscono nel nulla da un giorno all’altro.

Tutta la vita cambia in un istante. Si vive rinchiusi, in appartamenti trasformati in ambienti ospedalieri. I più fortunati sono rinchiusi in ambienti spaziosi o con un giardino che permette di lavorare, di svagarsi; altri sono ammassati in appartamenti piccoli o in baracche. Tutti gli scenari di una vita rinchiusa in uno spazio angusto si materializzano: ci sono famiglie in cui si ha finalmente il tempo di dialogare, di ascoltare i figli ed altre in cui la violenza raggiunge limiti insopportabili.

Ci sono persone che si rinchiudono egoisticamente su se stesse ed altre che continuano ad essere solidali con le altre, a preoccuparsi di quelli che non hanno casa, né viveri. E non abbiamo nessuna idea di ciò che sarà il futuro dopo che la pandemia avrà fatto la sua opera. Potremmo ritrovarci in una dittatura mondiale ancora più spietata ed efficace o l’umanità sarà capace di riflettere e di costruire un pianeta di pace, di amicizia e di condivisione. In parte la decisione dipenderà anche da noi.

Care amiche ed amici, ho sofferto con voi durante questi ultimi mesi perché, anche se non sono nato in Italia, la sento come il mio paese e la mia patria. Spero che voi e le vostre famiglie uscirete indenni da questa tormenta; spero che ci potremo rivedere, riabbracciare e festeggiare l’amicizia insieme.

IL GUATEMALA NELLA PANDEMIA

Anche qui dall’inizio di marzo è presente il coronavirus. Vorrei credere al Presidente della Repubblica e al Governo quando dicono che oggi ci sono solo una cinquantina di casi e che il paese è pronto ad affrontare con successo questa emergenza. Per questo hanno decretato lo stato di calamità che limita le libertà costituzionali, in particolare quelle di riunirsi, di manifestare e permette al Presidente e al Governo di utilizzare ingenti fondi pubblici senza i controlli abituali. In un secondo tempo il Presidente ha decretato il coprifuoco dalle ore 16:00 alle 4:00.

Temo che il paese non sia preparato ad affrontare questa immane tragedia collettiva. Negli anni precedenti vi ho già descritto molte volte il funzionamento di questo paese latinoamericano che ha essenzialmente conservato una struttura politica e sociale di tipo coloniale. Un governo che rappresenta gli interessi dell’oligarchia creola (di discendenza dagli invasori) e di varie fazioni di potere che sono egemoniche nel governo, nel parlamento e in gran parte della magistratura e che non rappresentano gli interessi del popolo guatemalteco ma di queste corporazioni illeggittime. Lo stato di calamità ed il coprifuoco permette loro di accrescere il potere che hanno e di reprimere facilmente ogni forma di opposizione.

Inoltre vi ricorderete della situazione economica e sociale del Guatemala, con più del 60% che vive nella povertà o nella miseria, con oltre il 50% di minori denutriti. Con la popolazione maya e contadina povera che non ha praticamente nessun diritto. Ricorderete anche che ci sono circa 40.000 persone che vivono in strada, la metà di loro nel dipartimento della capitale. Il Guatemala è anche il paese in cui i ricchi e le imprese pagano meno imposte e quindi non ci sono risorse per i servizi pubblici, ospedali, scuole, case popolari, ecc. In particolare gli ospedali si trovano in una situazione disastrosa: medici e infermieri ricevono uno stipendio insufficiente, non ci sono le attrezzature e le medicine, e già in condizioni normali questi ospedali sono in uno stato di emergenza. Naturalmente i servizi privati hanno prosperato ed i potenti vi trovano cure di qualità. Il Presidente ha fatto attrezzare l’ospedale di una città vicina alla capitale e ne ha fatti costruire altri due più grandi, uno nella capitale ed uno nel capoluogo di una regione del nord del paese. Il problema sarà avere in tempo le attrezzature necessarie e soprattutto il personale qualificato.

Questi tre ospedali pubblici attualmente hanno una sessantina di polmoni artificiali o respiratori, mentre il sistema delle cliniche private ne ha circa 300. Il Governo ha preso misure che appaiono insufficienti e incoerenti. Ad esempio domenica sera, 15 marzo, il Presidente aveva annunciato che tutte le imprese non necessarie alla sopravvivenza del paese dovevano essere chiuse. Il lunedì i padroni delle grandi imprese che impiegano centinaia e addirittura migliaia di operatori come i call center o le fabbriche di assemblaggio di capi di abbigliamento, abitualmente in mano a multinazionali sud coreane, hanno obbligato i loro dipendenti a lavorare. La sera del lunedì il Presidente, con un voltafaccia, ha annunciato che tutte le fabbriche avrebbero potuto lavorare con un permesso del Ministero dell’Economia e con l’adozione di misure di sicurezza che non sono state adottate in molte di queste imprese. Saranno probabilmente luoghi di contagio di massa, allo stesso modo delle 21 carceri del paese, che sono sovraffollate (in alcune carceri tre detenute dormono nello stesso letto di cemento costruito per una sola ed i servizi medici sono totalmente insufficienti).

Altri luoghi di contagio sono la strada perché, ignorando le raccomandazioni del Procuratore per i Diritti Umani e di alcune centinaia di medici, il Governo non ha aperto centri di accoglienza sicuri per le persone senza fissa dimora. Inoltre in molti quartieri popolari e soprattutto nelle baraccopoli, il distanziamento sociale è impraticabile.

Queste misure del Governo, tra le quali anche la soppressione del trasporto pubblico urbano o regionale, colpisce duramente le persone che hanno solamente un lavoro in nero che gli permette di vivere giorno per giorno. Il Governo prevede aiuti alimentari ma non in misura tale da coprire tutti i bisogni vitali della popolazione. Quindi non sono da escludere sollevamenti popolari nelle strade e nelle carceri e la risposta rischia di essere feroce.

IL MOJOCA NELLA PANDEMIA

Nella nostra Assemblea Generale del 14 marzo avevamo preso in considerazione le misure da adottare per affrontare una probabile epidemia di coronavirus ed avevamo nominato una commissione incaricata di proporre misure urgenti. Ma già il giorno dopo veniva proclamato lo stato di calamità. Il Centro Sociale della tredicesima strada è stato chiuso per ottemperare alle direttive del governo. Alcuni lavoratori hanno avvisato i ragazzi di strada che avremmo cercato una possibile soluzione. Abbiamo parlato via whatsapp o skype. Abbiamo ottenuto dal Ministero dell’Economia di riaprire la Casa dell’Amicizia per poter continuare le attività amministrative necessarie e dare almeno un pasto al giorno ai giovani che vivono in strada, nel centro della capitale (circa l’80% della popolazione di strada). Noi continuiamo a riunirci via skype: sia la Commissione di Sinergia che dirige il Mojoca operativo, sia la Giunta Direttiva per le decisioni di tipo legale.

Abbiamo deciso di non imporre a nessuno la presenza fisica nella Casa dell’Amicizia e ancor meno in strada, lasciando la possibilità di lavorare da casa quando possibile. Oltre a ciò, in assenza di trasporti pubblici, sarebbe troppo caro pagare un taxi a chi vive molto lontano. Molte lavoratrici e molti lavoratori si sono dichiarati disponibili, in particolare quelle e quelli che hanno conosciuto la vita di strada. I principi fondamentali del nostro lavoro ora sono la protezione rigorosa della salute dei nostri collaboratori e la continuazione di un’azione di solidarietà con le ragazze ed i ragazzi che vivono in strada o che hanno già una vita fuori dalla strada, la maggior parte con un lavoro in nero.

Vi descrivo rapidamente ciò che fa attualmente il MOJOCA.

NELLA CASA DELL’AMICIZIA (TREDICESIMA STRADA)

È aperta ogni mattina dalle 7:00 alle 14:00.

I 5 membri dell’amministrazione vengono ogni volta che è necessario.

María Elena che vive molto lontano, lavora abitualmente da casa sua per gestire gli acquisti.

Laura, anche lei molto lontana, continua ad occuparsi dell’importantissimo programma sulla prevenzione e cura della denutrizione.

Mirna viene frequentemente per fare gli assegni.

Silvia, la responsabile, si occupa delle relazioni con le associazioni e Brandon riceve i fornitori e controlla gli acquisti.

Julia, incaricata del coordinamento, assieme a Marvin, è presente ogni giorno e vigila sull’applicazione delle norme di sicurezza, occupandosi di preparare il pranzo con un altro volontario, spesso insieme a Petronilla, rappresentante delle Quetzalitas.

Alfonso viene tutti i giorni per produrre il pane e viene aiutato, di volta in volta, da José, responsabile del forno.

Verso mezzogiorno e mezzo arrivano Alan, a volte Juan José o suo fratello Luis, e con l’aiuto di Marvin e Brandon, distribuiscono i pacchi di alimenti ai gruppi di strada.

Verso la metà del mese Petronilla e Marvin distribuiscono gli assegni per le adozioni a distanza e per le borse di studio. Nei giorni precedenti concordano l’ora in cui ogni persona può presentarsi. Entrano uno per uno. La nostra dottoressa, che viene tre mattine a settimana, controlla la temperatura. Devono lavarsi le scarpe, le mani con il gel, ricevono una mascherina, firmano la ricevuta e lasciano immediatamente il posto alla persona successiva.

Verso la fine del mese è Mirna che consegna con lo stesso rituale le borse di avviamento al lavoro e di apprendistato (tirocinio) e gli assegni per i lavoratori che presentano fatture.

Quando è necessario, anche Carlos, malgrado la sua venerabile età, viene al MOJOCA con Giovanni, il nostro tecnico informatico. E dalla prossima settimana Lucrecia, la nostra chef, preparerà i pranzi al posto di Julia, due volte alla settimana.

A volte viene anche la nostra sarta, Marta, però abitualmente fabbrica mascherine di tela in casa.

NELLA STRADA

Le ragazze ed i ragazzi di strada son capaci di sopravvivere in situazioni estremamente difficili. Lo provano una volta di più. Hanno capito che devono vivere in piccoli gruppi ed organizzarsi per proteggersi dal virus. Molti di loro occupano case abbandonate, ne conosciamo 5. In alcune di esse si organizzano molto bene, vivono a buona distanza gli uni dagli altri, puliscono la casa, gettano fuori l’immondizia. Gli daremo il necessario per prendere misure più forti di protezione come lavare le scarpe, ecc..

I giovani volontari distribuiscono i pacchi di cibo a piccoli gruppi che si radunano in un punto preciso, ad un’ora stabilita. Il venerdì abbiamo deciso di dare un pacco di alimenti in più poiché il servizio non funziona il sabato e la domenica. Però i ragazzi continuano a cucinare nelle loro case la cosiddetta “calda”, una specie di minestrone dove cucinano le verdure, con ossa e carne che riescono a rimediare nei vari mercati.

A CASA PROPRIA

Molte lavoratrice e lavoratori continuano a lavorare da casa con il computer o lo smartphone; lo fanno le nostre due psicologhe, Karina e Mariana.

Lo fa Meiri, insegnante e consigliera del gruppo di adolescenti. René segue il suo gruppo di Nuova Generazione ed il coordinamento di varie associazioni di strada di cui facciamo parte. María Elena, Lily la Presidentessa e anch’io, con l’aiuto a volte di Kenia, Julia, Luca e André, lavoriamo nelle nostre case.

NELLA CASA 8 DI MARZO

Mirka, che era responsabile della casa quando è stato promulgato lo stato di calamità, è rimasta in casa. Le ragazze e i loro figli non escono dalla casa. Ultimamente è arrivata Flor che ha compiuto i diciotto anni e quindi non poteva più rimanere nell’istituzione statale che la ospitava. Le ragazze ed i bambini continuano la loro formazione, fanno esercizi fisici e riescono a formare una comunità amichevole. Io sono rinchiuso nel mio piccolo appartamento, con l’immensa fortuna di condividere la vita con Quenia che si prende amorevolmente cura di me e che però si distrae mettendo allegria e movimento nella casa delle ragazze e dei bambini.

ALTRE ATTIVITÀ

Wendy non può più visitare le ragazze incarcerate perché sono state proibite le visite esterne. Però gli consegna le medicine indispensabili per la loro salute e continua ad occuparsi dei casi di emergenza. Anche Karina, educatrice di strada, è disponibile per i casi speciali che si presentano in strada.

C’è un’iniziativa di solidarietà avviata da Karina e sostenuta attivamente da Quenia, Julia e Mirka e che è quella di donare alle Quetzalitas e ai loro figli e alle loro figlie, un cestino di aiuti prevalentemente alimentari (uova, olio, cereali, pasta, pelati, riso, fagioli, zucchero, latte, marmellata, carta igienica, cloro e sapone). Loro non riescono più a svolgere il loro lavoro in nero a causa delle difficoltà di trovare quanto necessario, della mancanza di mezzi pubblici di trasporto e del coprifuoco.

Tentiamo anche di associarci ad altre organizzazioni e di fare appelli al Governo, alle chiese, affinché si prendano cura dei più deboli e vulnerabili, dimenticati nei decreti governativi. Abbiamo avuto una risposta positiva di Alvaro Ramazzini, Vescovo di una diocesi al confine con il Messico, intrepido difensore dei migranti, degli indigeni, dei contadini poveri. Speriamo che riuscirà a coinvolgere la Conferenza Episcopale. In questi momenti dobbiamo lavorare per unire tutte le forze di buona volontà.

Io sono contento che questa emergenza sia scoppiata mentre ero in Guatemala. Però rimaniamo uniti a tutti voi, amiche ed amici dell’Italia e degli altri paesi europei. In questi momenti in cui la vita è così fragile, vi raccomando di dire spesso “ti voglio bene” alle persone che amate. E quindi vi dico anche con le bambine, i bambini, i giovani e gli adulti del MOJOCA, che vi volgio bene e vi abbraccio virtualmente con la speranza di farlo presto realmente: VI VOGLIO BENE!

Gerardo con Quenia, Julia...

Banchetto Informativo